sabato 21 settembre 2013

Seems like I'm a journalist...




The Italian viewpoint

Before arriving here at Pitzer college, I had not a real idea of what a “liberal arts college” was. Actually, I was just convinced that it would have had a lot of artistic courses; when I was in Italy, filling in all the forms for my exchange program, I used to look at the course schedule just for finding courses that could match with the ones of my university, and I only randomly gave a glance at the other possibilities. As I couldn’t really understand what all those courses with strange names were, I gave up and decided to make a choice upon my arrival here.
Then, during the first days of orientation for the exchange students, we had a meeting which aim was to explain us the educational objectives of this college. It was there that I heard about the concept of “breadth of knowledge”: the idea that university education should not be concentrated only on the subjects related to a specific course of studies, but it should be as open, large and unbounded as possible. That idea was amazing and scaring at the same time, as I wasn’t used to that at all. In Italy we have a completely different approach to education: the university is as fixed as possible, and the free choice is very little. When I was nineteen and I finished my high school, I had no idea of who I was, neither of who I wanted to be. But I had to take a decision, because over there it works like this. You barely know how the world is, at that age, or which are the possibilities of life, or what you are really good at. But you have to choose a degree, and that degree is something fixed, something that you can only accept or reject. In three years of university, I had only three courses on choice, one every year. I couldn’t even call it “free” actually, because they had to be related to my field of study. So, at that time, not aware at all of my real desires, I chose the best compromise and I started a degree in international business. I also really liked drawing. And writing. And I was interested in psychology, too. But I couldn’t try them all, I just had to decide. I don’t even know how many times, later, I regretted that choice, staring at the infinite possibilities that I had in that moment and that I won’t have anymore.
The idea that here students have two whole years to understand what they really want to do is simply amazing. You can be attracted by psychology, but also try chemistry, and take an art class, too, and at the same time attend a course about women’s rights. And that’s only a semester. I believe that this kind of approach really helps to develop all the human possibilities in life. There’s no better way to understand if you like something, or even more if you don’t like it at all, than trying it. Theoretical, abstract speeches are just useless in life, if you are not able to turn them in practice. Italian universities surely believe that with their approach they can provide some sort of “deeper” knowledge, a more complete one. That’s probably true, but what if someone doesn’t know yet what his future will be? Then he can only make a wrong choice. In Italy we have one of the highest university abandonment rate, and that’s probably due to this approach. Most of the people start doing something they thought was nice for them, and then realize that it isn’t like that at all. There is a lot of social pressure upon the university choice, because what you are studying really qualifies you. If you are studying economics, then you are smart and you will be a manager, but if you are studying languages you are only someone who will be unemployed for his whole life. Here there is an opposite approach: every subject has the same value and social status. Who is majoring in economics may be also taking some language course, and photography, and sociology. What does really count is the person you will become, that is the sum of all the unique choices you made during your four years. By my side, I’m taking advantage of this amazing possibility: this semester I will be a Spanish learner, but also a photographer and a psychologist. Maybe some of these things will turn out to be my future.

lunedì 9 settembre 2013

Pictures from my new life

Il benvenuto in camera Mia:


La festa internazionale:


In classe, senza scarpe...eh si, qui usa così!


The gate of heaven?


Cosa sarebbe l'America senza il football?


Ed ecco a voi Claremont:

domenica 8 settembre 2013

Homesickness...o solo inadeguatezza



C'è qualcosa di cui nessuno studente erasmus/exchange parla mai nei suoi racconti, cioè del fatto che gli possa essere mancata casa sua. Non saprei dire il perchè, ma è davvero così, insomma li vedi sempre pubblicare foto bellissime su facebook, quando li senti ti dicono che è tutta una figata, quando tornano non fanno altre che dire che vorrebbero essere ancora là. Quindi non è difficile no? Se tutti partono e nessuno si trova male o almeno si sente solo, vuol dire che è facilissimo!
Poi però c'è l'altra "voce" sull'erasmus/exchange, la voce cioè di chi queste esperienze le organizza o le vive come tutor, assistente, o comunque come "esterno" coinvolto. Questa voce sostiene con convinzione che un esperienza del genere ti cambia perchè impari ad affrontare le difficoltà, a gestire la solitudine, a tirarti su da solo...quindi questi cambiamenti e queste sfide sembrano presupporre una difficoltà di fondo no? Addirittura c'è gente che queste cose le studia, non so se siano psicologi, antropologi o che altro, e hanno teorizzato un vero e proprio grafico dell'andamento dell'homesickness. Ne ho trovato uno in internet che è molto simile a quello che ci hanno fatto vedere qui, durante i primi giorni di orientamento:

http://web.viu.ca/studyabroad/departsmart/modules/whileaway.htm
Il grafico mostra chiaramente come al periodo pre partenza, da tutti confermato come un periodo di alti e bassi, di confusione e di indecisione, segue un periodo di up, alla partenza e poi...uno quasi corrispettivo di down. E questo studio non è il risultato di un'analisi che riguarda, che so, uno studente su cinque. Ce lo hanno prospettato come una sicurezza, una certezza matematica, qualcosa a cui tutti devono andare incontro quando affrontano questo tipo di esperienza.
Allora, perchè non c'è nei racconti di nessuno? Perchè quando mi guardo intorno mi sembra di essere la sola? Non credo sia generalizzabile, molto fa il carattere, molto altro il tipo di compagnia che casualmente si incontra nel nuovo paese straniero, forse anche l'educazione o altre cose giocano un ruolo...non tutti dovranno affrontare questo grafico. Ma qualcuno si, per forza. E dove sta? Perchè si nasconde?

Ci nascondiamo tutti, in realtà...anche io stessa certi giorni vorrei solo chiudermi in casa e piangere, ma poi, quando esco, sorrido, faccio finta di niente, dico che sto bene...dopo un po' inizio anche a divertirmi, certo, ma continuo a sentire quel vuoto che mi dice che qualcosa non va, che questo non è il mio posto. Non so se chiamarla Homesickness, o "nostalgia di casa", perchè in realtà non è tanto casa che manca...si, vorrei un abbraccio della mia mamma, e un bacio del mio ragazzo, e le mie amicizie e la mia casa...ma più che altro ciò che fa male è quella specie di sensazione di malessere alla bocca dello stomaco, come quando sei nervoso, come quando non sei rilassato. Quella sensazione che ti fa stare sempre come una corda in tiro. E lo sei perchè ti senti fuori posto, perchè nulla di ciò che conosci e ti da sicurezza è lì con te, perchè ogni diavolo di cosa, anche trovare la carta igienica per il bagno, quando sei in un posto nuovo diventa difficile.
Vorrei solo che qualche studente che si trova lontano da casa e si sente male per questo leggesse il mio blog..se così fosse, e mi stai leggendo, voglio dirti che NON SEI SOLO. Non tanto perchè anche io mi sento così, insomma nemmeno mi conosci, ma perchè credimi, lo studente straniero nella stanza accanto alla tua in questo momento sta provando le stesse cose. Il grande problema degli esseri umani è che usiamo il dono della parola per i motivi sbagliati, la usiamo per lamentarci, per giocare, per ridere, per sfottere...mai per chiedere aiuto
Nel mio caso specifico, io mi sento ancora come nel pre partenza: oscillo continuamente tra l'alto e il basso, tra il "sì, che bello, qui è tutto fantastico" e il "cosa diavolo ci faccio io qui?". Un giorno su, e l'altro sotto terra. Avere il fidanzato a casa di sicuro non aiuta, probabilmente se non ci fosse mi butterei di più in nuove conoscenze, nuove cose, nuove esperienze...ma al momento sentirlo è una delle cose che più mi tranquillizza, perchè è l'unico con cui mi sfogo, e non riesco a pensare a stare senza la consapevolezza della sua presenza. Credo di essere una persona strana...vado molto d'accordo con poche persone, come se fosse una grandezza inversamente proporzionale: all'aumentare della gente la mia simpatia diminuisce. Non mi so più relazionare. E' sempre stato così, infatti nella mia vita non ho mai fatto parte del grande gruppo, ho sempre avuto la mia piccola schiera di amici secondo la filosofia del "pochi ma buoni". Però qui volevo essere diversa. Qui volevo semplicemente godermi tutte le esperienze nel modo più facile possibile. Invece mi sembra di trovare muri davanti a me: cerco di fare amicizia, di aprirmi, di invitare, e mi sembra che tutti abbiano già la loro vita, che non se ne facciano niente di me. E' così triste sentirsi soli, è così triste non sentirsi accettati. Per questo mi chiedo se la mia sia homesickness o se sia solo inadeguatezza. Forse come sempre mi forzo a fare cose per cui non sono pronta. Forse il mio carattere o semplicemente le attuali circostanze non mi permettono di godermi questa esperienza come dovrei. Forse dico così solo perchè è l'inizio, e ancora non so come si evolveranno le cose. 
Diciamo solo che per ora è così: il mio cuore è diviso a metà, una parte batte all'impazzata davanti a tutte le novità e tutte le sfide che sto affrontando, ed è felice e realizzata per aver avverato questo sogno. L'altra metà piange ogni volta che pensa all'Italia, e spera che questa esperienza, per quanto ricca e formativa, finisca in fretta. Non lo so come si evolverà, magari tra un mese sarà completamente diverso. Posso solo provare a viverla come viene. Nel bene o nel male, mi avrà insegnato tanto. Per ora, comunque, spero ancora che sia solo "nel bene".

giovedì 5 settembre 2013

Shopping di lezioni

Come è ben noto grazie a numerosi film e serie televisive, il sistema scolastico americano è piuttosto diverso da quello italiano (in generale da quello dei paesi europei): da noi andare all'università significa scegliere un corso di laurea che ti piace e seguire le lezioni preimpostate, sia che siano o meno di nostro gradimento, sia che le reputiamo utili o no. Se vogliamo prendere lezioni di chitarra, o di fotografia, o di danza...dobbiamo farlo dopo le lezioni, nel tempo libero. Non c'è nulla di strano, ci siamo abituati. 
Ma per l'altra metà del mondo, le cose funzionano in modo totalmente opposto: l'università è un enorme contenitore in cui far convergere materie "classiche", materie "alternative", e...altre che non oso nemmeno chiamare materie! Qui non si sceglie un corso di laurea, si sceglie un major. Un major altro non è che una vaga indicazione di cosa scegliere tra tuoi corsi universitari: per esempio, se uno volesse fare un major in economia, probabilmente dovrebbe obbligatoriamente scegliere almeno una materia matematica, compresa entro un'ampia gamma di scelta, una economica, una storica e una sociale. In 4 anni. E il resto? Lo potrebbe riempire come gli pare, letteralmente! Gli studenti non seguono in media più di 4 o 5 materie da un credito l'anno (no, non correte a cercare borse di studio per gli Stati Uniti, 1 credito americano vale quasi 10 nostri come mole di lavoro...credetemi). Queste materie non facenti parte del loro major possono essere di ogni sorta: tra gli esempi più simpatici, c'è una classe di make up, un corso di danza, corsi di yoga, di musica, di fotografia...ci sono anche cose dai titoli assurdi che ancora mi chiedo cosa possano riguardare!
E' quello che loro, almeno qui al Pitzer College, chiamano Breath of Knowledge: la conoscenza e la cultura sono date dalla somma di tante abilità diverse e non sempre collegate, e il modo migliore di crescere come persona, anche per il futuro lavoro, è quello di provare un po' tutto, in modo da riuscire a capire cosa veramente si vuole,
Personalmente, è un concetto che trovo meraviglioso! In Italia funziona in modo diametralmente opposto: la scelta libera è ridotta al minimo, diciamo un corso all'anno, che deve essere comunque collegato con il tuo piano di studi. E tu esci dal liceo con una conoscenza minima di come sia il mondo, la vita, il lavoro, e ti ritrovi a dover scegliere già con ragionevole sicurezza quale sarà il tuo futuro.
Per me questa è stata una tragedia, perchè ho scelto in maniera abbastanza casuale qualcosa che mi desse un inquadramento generale su più fronti (andando quindi a perdere in profondità su ciascuno) e ritrovandomi alla fine del mio percorso senza avere la minima idea di cosa fare dopo. Solo perchè non ho mai potuto provare! Se avessi fatto l'università qui, probabilmente avrei fatto comunque un major in economia o qualcosa del genere. Ma poi avrei provato anche biologia, e informatica, e sociologia, e psicologia...e perchè no, fotografia e danza. E ora saprei se tutte queste cose mi piacciono o meno, e saprei forse anche quale mi piace più di tutte, in modo da sceglierla. 
Ma non è tutto oro quel che luccica: non sembra così scontato, ma all'aumentare ingente della possibilità di scelta aumenta anche parallelamente la difficoltà di farlo. Ci sono migliaia di studenti nel college e certe materie sono chiaramente molto più appetibili di altre. Per cui riuscire a scegliere e seguire ciò che davvero si desidera è praticamente una corsa all'oro: una gara al click più veloce, dal momento preciso in cui aprono l'accesso al sito per la registrazione. Nel caso dei poveri studenti del primo anno poi, e purtroppo anche di noi exchange, diventa anche un po' un terno al lotto, perchè tutti gli studenti di anni superiori (fino al quarto, cioè) hanno la possibilità di registrarsi ai corsi già dalla fine dell'anno precedente. Consierando che sono i 3/4 della popolazione studentesca del college, a noi è rimasta davvero poca scelta.
Ma poi, fosse solo questo! Gli americani amano proprio complicare la vita e inserire quante più regole possibile ovunque: non solo il corso, che ha un numero massimo di posti, deve essere ancora "aperto", ma spesso ha dei prerequisiti, oppure è aperto solo per gli studenti di un certo college, oppure, cosa peggiore, necessita del permesso scritto dell'insegnante per poter essere inserito nel piano di studi. Quindi la cosa diventa davvero delirante, perchè è tutto un raccattare corsi disponibili di qua e di là, mentre si aspetta che due o tre prosessori rispondano alla richiesta per classi chiuse, o mentre si va a fare "shopping" di corsi per capire quale sia il migliore. Ah, e nel frattempo bisogna anche cercare di non creare sovrapposizioni, tra le materie effettivamente inserite ma anche tra quelle potenziali! perchè tendenzialmente quasi tutti i corsi sono tra le 10 del mattino e le 4 del pomeriggio, dal lunedì al giovedi: la mattina e la sera, così come il venerdì, hanno solo qualche sporadica lezione qua e là. Meglio? Mica tanto...se vuoi seguire 6 corsi, nel tuo iniziale periodo di shopping, e 4 di loro si sovrappongono...tanti auguri!
Diciamo quindi che non è affatto facile: è abbastanza stressante e complicato come sistema. L'estrema libertà ha i suoi svantaggi. Ma non voglio essere falsa: trovo che tutti i problemi e le difficoltà del mondo non riescano comunque a togliere nulla a questo sistema meraviglioso. Qui materie come fisica e danza, musica e ingegneria, matematica e filosofia del linguaggio hanno lo stesso valore, la stessa dignità. Ognuna contribuisce a creare l'individuo-studente nella sua completezza e unicità. E credo che nessuno studente possa uscire di qui senza sapere se è bravo in quello che ha scelto di fare poi: hanno già provato un po' tutto, sperimentato, scoperto nuove passioni e sbagliato in modo madornale. Sono completi. Nessuno di loro ha bisogno di sapere a 18 anni se vuole diventare medico, o avvocato, o pittore o fotografo. Lo scopriranno piano piano, crescendo.