venerdì 24 maggio 2013

"Prima di partire per un lungo viaggio...."

"...porta con te la voglia di non tornare più." Così diceva Irene Grandi. Ma ci sono anche tante cose da fare...e tante difficoltà.
Se poi vai in America, la trafila burocratica è talmente lunga e complicata da far quasi passare la voglia. Più che altro, ti fa venire tutto una grande angoscia. 
Ti sembra che le giornate si accorcino, che ci siano troppe cose da fare e da ricordare prima di partire, troppe scartoffie da firmare, troppi accordi da prendere...è come quando vai in vacanza per un weekend e hai la sensazione fortissima e insopprimibile di aver dimenticato qualcosa. E poi di solito, quando arrivi, scopri che era lo spazzolino. Qui è elevato all'ennesima potenza, e cominci a sentirla mesi prima di partire. Speriamo davvero di dimenticare solo lo spazzolino, questa volta.
La cosa più irritante è...non so se chiamarla "incompetenza" delle persone, perchè mi sembra esagerato e anche un po' cattivo. Ma non trovo termini più adatti. Appena inizi un'esperienza del genere, sai di poterti rivolgere a certe persone nel tuo paese, e che potrai contare su di loro per ogni dubbio o richiesta. Ma questa è una mera utopia! 
Nel mio caso, avendo vinto una borsa di studio attraverso l'università, il personale di riferimento è quello dell'ufficio Erasmus. Il mio non è ovviamente un Erasmus, ma all'interno dell'ufficio c'è una signorina che si occupa delle borse di studio ISEP (la mia; prossimamente farò un resoconto di cosa sia, così da poter anche ispirare altri che fossero interessati. Per ora vi lascio il link al sito). 
Questa donna è veramente gentile e affabile, nulla da ridire. Nelle prime settimane mi vedeva di continuo arrrivare con qualche richiesta o dubbio, e non mi ha mai riso in faccia. Per me, è già tanto!!
Ma se ti tratta di non poterti recare in ufficio, e di avere la necessità di scrivere un'email, apriti cielo! NON c'è speranza che risponda! Ma non perchè non si trovi in ufficio o abbia altro su cui lavorare; il giorno dopo, probabilmente, riceverai una sua email su un altro argomento, di quelle con invio multiplo a tutti i vincitori della borsa di studio, e la tua sarà completamente ignorata.
Finchè mi trovo in Italia, per la precisione al momento sono a Milano, a casa mia, nulla di grave: tra qualche giorno tornerò a Urbino e passerò all'ufficio Erasmus a parlarle direttamente. Ma mi prende il panico se penso che questa donna sarà il mio principale referente per qualunque cosa quando sarò in America: ogni questione universitaria passerà per il suo computer, dalla convalida dei crediti, alle domande che potrei avere sui corsi, fino ai miei dubbi sulle tempistiche della tesi. E io non posso aspettare di tornare a casa e fare le cose con calma: non posso e basta, perché appena tornata vorrei laurearmi, per non rischiare di andare fuori corso e ripagare tasse che non servono. Per questo non mi posso permettere errori. E non posso nemmeno mettermi a telefonarle dalla California alle 3 di notte per beccare i suoi orari di lavoro e avere una risposta alle mie domande!

Il personale di contatto in America non si è rivelato tanto più disponibile. Il mio ISEP Contact nel college in cui andrò, un uomo dal nome impronunciabile che spero di non dover mai dire di fronte a qualcuno (figura di m... assicurata), è stato velocissimo nel rispondere alla mia mail, ma talmente sintetico nella risposta da risultare disinformativo!
Lo avevo contattato per avere chiarimenti sul funzionamento dei crediti; si perché, in questo college (e solo in questo a quanto pare, perchè da quello che mi dicono ognuno, in America, "fa da sè"), ogni esame vale...1 CREDITO!!! I miei esami mediamente ne valgono 10...quindi è evidente che ci sarà qualche problema di trasposizione! All'ufficio Erasmus non mi hanno saputo dare informazioni, per cui ho scritto una bellissima, faticosissima, completissima mail in inglese a questo signore. La sua risposta, dopo circa 4 ore dal mio invio (ero incredula, infatti!) è stata lapidaria. Quattro righe (contate, eh), contro la cinquantina che avevo scritto io, in cui non faceva alcun accenno a come convertire i crediti o a che sistema usassero per l'assegnazione, e mi diceva soltanto che "to get 30 Credits you'll have to take 4X1 exams". 
Qualcuno mi sa tradurre? Non per l'inglese, ovviamente non è un problema quello, ma perchè non mi ha dato nessuna risposta, fondamentalmente! Se i miei esami sono da 10 crediti, e per ottenere 30 crediti devo dare 4 esami...significa che un esame americano vale 7,qualcosaltro crediti da noi...ma che diavolo vuol dire?!? Che metodo è!?! Come mi regolo?!?

Se vi state chiedendo come ho risolto questi dubbi...bè, non li ho risolti. Qui erano e qui rimangono.
Ora c'è il passo successivo: prendere appuntamento con l'ambasciata degli Stati Uniti per un colloquio, in modo da poter ottenere il mio VISTO. Ancora non mi sono mossa in questo senso, perché ero in attesa di dei moduli e anche, lo confesso, per una certa dose di ansia. Quello che so, è che mi hanno prospettato una trafila piuttosto complessa. Con chiamate da 15$ l'una in cui cade la linea, numeri su numeri da digitare prima di ottenere l'ufficio giusto, date impossibili per l'appuntamento...e infine, al colloquio, dovrò dimostrare che "amo il mio Paese e non voglio abbandonarlo per scappare negli Stati Uniti".
Ma come dovrei fare? Devo piangere davanti al console e gridare che non voglio partire? Devo andare vestita di verde, bianco e rosso? Tanti tanti dubbi...nessuna risposta.

Lo scopriremo solo vivendo, credo. Intanto la cosa si fa sempre più reale, e più spaventosa...
Credo, comunque, che parte dello spirito di questo viaggio sia anche questo: io, ed è una caratteristica molto italiana, ho la tendenza a procrastinare, a lasciar fare agli altri, a nascondere la testa sotto la sabbia in attesa che qualcuno risolva i miei problemi al posto mio...
Le cose che mi spaventano non le prendo di petto: le lascio fuori, mi dico "domani ci penso", e tante volte rimangono lì, così, in attesa, fino a che semplicemente non vengono seppellite da altri problemi, e basta. Questa volta non si può. Questa volta devo affrontare i problemi con ordine, e non lasciarne indietro nessuno...e posso farlo solo io. Crescere significa tante cose, e significa anche questo.

Vi lascio con una frase che mi ha colpita, direttamente dal blog dell'ISEP, in un post che raccoglie le migliori citazioni sul significato del fare un'esperienza all'estero. L'ho trovata non solo molto vera, ma assolutamente perfetta per descrivere ciò che significa e, spero, significherà per me.


Why do you go away? 

So that you can come back. 

So that you can see the place you came from with new eyes and extra colors. 

And the people there see you differently, too. 

Coming back to where you started is not the same as never leaving.

― Terry Pratchett

lunedì 13 maggio 2013

Il Grande Viaggio

Sono stata abbastanza vaga, finora, su questo fatidico viaggio che dovrebbe essere il centro del blog. Trovavo giusto presentarmi, prima, farmi conoscere in qualche modo, e ho finito per dilungarmi.
Ma è bello così no? Qualsiasi cosa, perchè abbia un valore, bisogna conoscerla. E questo non è un blog di viaggi: è un blog di VIAGGIO, il mio, e di chiunque volesse condividerlo con me.
Adesso che i convenevoli sono stati sbrigati, è giunto il fatidico momento. 

Come al solito la prenderò alla lontana, perché possiate capire le mie motivazioni e le mie paure.
Vi ho già detto come, fin da piccola, sentissi il bisogno di andare. Non sapevo dove, non sapevo perché, ma ero in cerca di qualcosa che a casa mia non trovavo. Ci sono persone che stanno bene ovunque le metti. Altre che non si pongono nemmeno il problema. 
Io no: io ero in cerca.

I miei viaggi mi piacevano da matti, adoravo la sensazione di libertà e di ansia nel prendere per la prima volta un treno da sola, o la sorpresa di vedere una nuova città, e anche lo stupore del conoscere gente nuova, con accenti strani e modi di fare diversi, e pensare "questa cosa a casa mia non succede".
Restavo sempre vicina, ma sognavo l'"esotico"

La mia generazione è cresciuta più americana che italiana: i telefilm con cui siamo cresciuti, la musica che abbiamo ascoltato fino a non poterne più, i film che ci hanno fatto emozionare e in cui ci siamo immedesimati...ci pensate mai? A quale di queste cose "made in Italy" riuscite a pensare? Siamo stati bombardati dalle immagini di quelle high school americane con gli armadietti e le fontanelle, con le cheer leaders e le squadre di football, con i balli di fine anno e i professori che assegnavano compiti assurdi. Questo c'era nel nostro immaginario.
Invece la nostra realtà era fatta di scuole con l'intonaco scrostato, compiti monotoni e non interattivi, feste di fine anno in cui al massimo si portava una coca-cola in classe per un brindisi.

Io agognavo quella vita da film! Mi chiedevo sempre se fosse tutto vero, se quelle immagini esagerassero o se invece, laggiù, dall'altra parte dell'oceano, ci fossero veramente adolescenti che crescevano come si vedeva in tv. I miei idoli? The O.C., Smallville, Hilary Duff, Streghe, e chi più ne ha più ne metta. Il mio primo contatto con l'America, grazie alla televisione, è stato probabilmente più precoce di quelli che ho avuto con l'Italia.
E' stato allora che ho iniziato a coltivare quel sogno. Quanti anni avrò avuto? Non saprei nemmeno dirlo...Hilary Duff probabilmente lo guardavo quando ancora non andavo nemmeno alle medie! 

Durante il mio secondo anno di liceo, un'amica di mamma le parlò di un'associazione chiamata Intercultura, che organizzava scambi internazionali tra ragazzi e con la quale chiunque poteva partecipare come famiglia ospitante, e ritrovarsi in casa per qualche mese un adolescente inglese, americano, cinese o australiano. L'idea ci piaque subito e cominciammo le pratiche: sarebbe venuta a stare da noi per 6 mesi una ragazza della Nuova Zelanda.
Cavolo, nemmeno sapevo dove diavolo stesse la Nuova Zelanda! E quella ragazzina che sarebbe arrivata, una liceale diciassettenne, sarebbe venuta fino in Italia, da sola, per sei mesi, a stare con una famiglia sconosciuta...quanto doveva essere coraggiosa??

Non lo era. Non lo era affatto! E' stato una specie di incubo all'inizio: questa povera creatura spaventata arrivava da un paese in cui ci sono più pecore che esseri umani e si era ritrovata improvvisamente a Milano; io e la mia famiglia parlavamo un inglese un po' tentennante, lei non sembrava assolutamente in grado di imparare l'italiano (in effetti, in sei mesi non ha imparato molto) e praticamente ogni giorno vagava per casa disperata e piangeva come una matta perchè le mancava la sua famiglia.
Rimase con noi per 6 mesi. Non riesco a ricordare con precisione come si evolse il nostro rapporto, dopo quanti mesi smise di essere un'estranea in casa mia e si trasformò in mia sorella, ma così avvenne. Era mia sorella, una sorella che parlava una lingua differente e con cui non avevo nulla in comune, ma era mia sorella. 
Ma non è questo l'importante, almeno non per lo scopo per cui scrivo. Non è come lei influenzò me e la mia vita. Ciò che conta è come quell'esperienza cambiò lei.

All'inizio non me ne ero resa conto, e nemmeno lei credo. Era arrivata piccola e confusa, come è normale a diciassette anni, chiaro, e non era stata troppo brava ad affrontare le difficoltà di quell'esperienza. Poi con il tempo aveva fatto le sue amicizie, aveva cominciato a capire qualcosa di italiano (molto poco, credetemi...in casa l'inglese era d'obbligo per non scatenare crisi di pianto), a uscire, a conoscere l'italia e i suoi aspetti positivi. Nella vita aveva una grande passione per la moda, anche se personalmente io trovavo il suo stile piuttosto discutibile (ma d'altro canto è un mondo a cui sono sempre stata estranea e disinteressata). Le piaceva mangiare, tanto, ma come a qualunque altra persona. Era giovane, confusa, insicura.

Adesso siamo ancora in contatto. Tutt'ora so di avere una sorella dall'altra parte del mondo, e anche se non la sento spesso so che è lì, e che quell'esperienza ci ha reso unite per sempre. E' tornata in Italia, qualche volta, e ogni volta vederla era un'esperienza. Tutta la sua vita, la sua formazione, la sua carriera, sono state sconvolte dall'esperienza in Italia: ha abbandonato il settore moda (anche se continua a vestire in modo stravagante) e ha scoperto di avere due vocazioni: la cucina, rigorosamente italiana, e la lingua...sempre quella italiana! Si è messa a studiarla in Nuova Zelanda, ha cambiato i suoi corsi di studi, ha iniziato a lavorare per una società di catering e preparato la tesi sulla cultura alimentare dell'Italia. E già questo è tanto, insomma, capire cosa vuoi fare della tua vita e in cosa sei brava. Ma anche il suo modo di approcciarsi all'intera esistenza è cambiato in modo epocale, e io sono fermamente convinta che anche su questo abbia influito pesantemente quell'esperienza. E' una delle persone più calme e pazienti che io conosca, ha iniziato a viaggiare in lungo e in largo per il mondo, è tornata in Italia per specializzarsi e vuole tornarci prossimamente, non ha paura delle scelte nè dei fallimenti. E' sicura di sè, sempre, ed è in grado di portare con sè la sua serenità ovunque vada. Per me, è davvero diventata un esempio.

Non le ho mai chiesto direttamente quanto pensa che quell'esperienza possa averla fatta diventare ciò che è adesso. Forse non saprebbe nemmeno rispondermi. Ma io ho conosciuto quella bambina, e adesso ho la fortuna di conoscere questa donna matura, sicura di sè e affermata. E so, quando la guardo negli occhi, che lì dentro romba un motore alimentato da ciò che ha trovato in Italia.  
Dal giorno stesso in cui ripartì, seppi che avrei voluto fare un'esperienza come la sua.


Quando ero al terzo anno di liceo, mi arrivò a casa un catalogo EF...la conoscete? E' un'agenzia che organizza vacanze studio all'estero, probabilmente la più famosa. La ragazza neozelandese era ripartita da più di un anno, e io iniziavo a vedere i suoi cambiamenti nel tempo, anche se a distanza. Sfogliando quel catalogo, trovai una sezione che parlava di "anni accademici all'estero" e il mio cuore iniziò a battere più forte.
Non era come Intercultura, che non ti faceva scegliere la tua destinazione ma te ne dava una a caso: potevo scegliere. Potevo andare dove volevo davvero: in America.
Cominciai tutte le pratiche: avevo 16 anni e stavo per passare un intero anno in America. Era incredibile. Era un'esperienza che nessuno dei miei amici si sarebbe mai sognato di fare. E...faceva paura. Troppa paura...
Non so perchè, davvero, non me lo ricordo...ricordo solo che ogni motivo diventava una scusa per farmela sembrare una cattiva idea. Ogni volta che qualcuno ne parlava, mi saliva il panico. E decisi di mollare: "è troppo presto, c'è tempo" mi dicevo, e mi dicevano.

Passarono gli anni, e la quarta liceo non la feci in America ma nella mia solita scuola a Milano. Così anche la quinta. Si avvicinava il tempo delle scelte, del concretizzare i miei sogni, della "maturità"...ma chi si sente maturo a 19 anni?!? Come fai a decidere cosa fare della tua vita, quando per 5 anni hai studiato greco e latino e non hai idea di cosa significhi lavorare davvero? Mi riprese il panico: non sapevo cosa volevo studiare...non sapevo dove volevo studiare...sapevo cosa NON volevo, ma è stato da subito palese che andare per esclusione non è facile quando hai migliaia di possibilità davanti. Ero in paranoia esistenziale!
Un catalogo EF venne di nuovo in mio aiuto, proprio in questi momenti di panico. E questa volta non parlava di vacanze estive, nè di frequentare la high school americana...mi proponeva un anno di preparazione all'università all'estero! Il potere del marketing, eh?
E così ricominciò la trafila. Di nuovo, stavo per concretizzare qualcosa, stavo per partire. Ma poi niente...sulle mie innumerevoli paure (eh si, sempre così...io mi vorrei lanciare dalla vetta più alta, ma poi guardo giù, non vedo il fondo...e decido di scendere) si inserì anche la forza più potente della terra: un nuovo amore!

Che idiota mi direte. Sì, è vero. Però col senno di poi non mi pento di niente, ve lo giuro. Ho fatto le mie scelte, e tutte hanno avuto conseguenze importanti: non cambierei nulla. Il fatto è che quando ti innamori, specialmente se sei ancora piccola, tendi a pensare di aver trovato tutto. Sei felice, lui è perfetto, voi avete la storia dei sogni: perché andarsene? E d'improvviso, senza che nemmeno te ne accorgi, dimentichi quali erano i tuoi sogni...no, peggio...te li ricordi, ma non li senti più tuoi. Quando qualcuno te ne parla, ti racconta le sue esperienze, quelle che volevi fare tu, senti un brivido...ma non riesci a collegare la persona che eri e quella che sei. Ti manca un pezzo, e ti va bene così. Senza troppe domande.

Ma il tempo passa. A diciott'anni ti innamori e ti sembra non ci sia nient'altro, che non passerà mai, che il tempo a voi non farà niente. E fai rinunce, involontarie sì, ma sempre rinunce, che si vanno a sedimentare l'una sull'altra. Sposti pezzi della tua vita in funzione di lui, e lui fa lo stesso con te, e va bene così...ma poi un giorno ti accorgi di aver fatto troppo. Di esserti persa, di non riconoscerti più, perchè hai smesso di chiederti chi eri e cosa volevi per così tanto tempo, che te ne sei dimenticata. Ti accorgi semplicemente che sei qualcun altro.


Per certe persone può anche andare bene. Alcune mie amiche, che si sono fidanzate nel mio stesso periodo, hanno fatto il mio stesso percorso e sono felicissime. Non c'è niente di male, non sono nè sbagliata io, nè sono sbagliate loro. Tutto sta a vedere se le scelte che si decide di fare sono dettate dalla maturità della storia, o dalla sua immaturità.
Se scegli di aprire certe porte e di chiuderne altre perchè intimamente ti senti che sia giusto così, allora va bene.
Ma se scegli di non aprire più porte, di restare semplicemente ferma, per non rischiare di mettere alla prova l'amore, per non rischiare di dover ricominciare da capo, per non rischiare di perdere...allora ti autodistruggi. E la tua storia romantica diventa la tua prigione. E la tua immagine allo specchio diventa qualcosa di cui non vai più fiera. Un'immagine sfocata, un ricordo, un cumulo appannato di rimpianti.
Nella mia casa a Milano c'è un armadio enorme, bianco, a quattro ante. L'interno, nel corso degli anni, l'ho ricoperto di scritte colorate. Sogni, speranze, canzoni, frasi...tutto ciò che mi rappresentava finiva lì. Una in particolare mi ha sempre guidato nelle mie scelte, nel bene e nel male, facendomi fare anche tanti errori ma insegnandomi sempre qualcosa:

"Meglio Mille Rimorsi Che Cento Rimpianti..."

Si, perchè un rimorso è qualcosa che hai fatto, e che vorresti non fosse successo. E' quello che comunemente si chiama"errore", l'hai fatto, forse se potessi tornare indietro non lo faresti di nuovo, ma in realtà ti ha insegnato una lezione, e ti ha portato a qualcos'altro che, senza di esso, non avresti mai sperimentato. Ti ha reso quello che sei.
Un rimpianto, invece, è qualcosa di subdolo...avresti voluto farlo, ma non l'hai fatto. Rimane lì, così come era, un semplice dubbio, una possibilità. Poteva non essere niente, una botta nei denti, solo un errore...oppure poteva essere l'occasione della tua vita. Non lo saprai mai, e ti logorerà per sempre.

Ovviamente nella vita esistono entrambi, e non si possono evitare. Non puoi fare mille cose contemporaneamente, e ogni volta che fai una scelta tra più cose, si crea di conseguenza un possibile rimpianto. E' così, è la vita. Come si fa allora?
Secondo me il punto è avere solo rimpianti "positivi". Certe volte, scegli una cosa piuttosto che un'altra semplicemente perchè quella ti rende più felice. Forse è un errore, forse te ne pentirai, ma in quel momento, per quanto tu sia combattuta, sai dove si trova la tua felicità.
E' stato così quando ho dovuto scegliere tra l'amore e l'America. E' stato così quando ho deciso di venire a Urbino, piuttosto che da qualunque altra parte. E' stato così quando mi sono lasciata con il mio ragazzo, e ho deciso di tornarci insieme. Sono scelte, e ogni volta che scegli ti trovi davanti a due porte aperte: non puoi entrare in entrambe, e non puoi nemmeno tornare indietro una volta entrata a vedere cosa c'èera nell'altra. Devi solo fare un paio di calcoli e sperare di avere fortuna.
Qualunque porta tu scelga, stai sicuro: l'altra diventerà un rimpianto. E' così per forza, perchè non saprai mai cosa c'era dietro. Ma se in quel momento sei stato sincero con te stesso nel fare la tua scelta, allora era quella giusta. Era la scelta più giusta possibile.

A volte però, sbagli. Anzi, non è che sbagli, perchè in effetti non sai cosa avresti trovato dietro l'altra porta. Più che altro, ti rendi conto col passare del tempo che la tua scelta non basta. Non ti rende più felice come in quel momento. Diciamo che non ti rende INfelice, però non si è rivelata come la pensavi tu. E' lì che il rimpianto diventa un rimpianto "negativo"...ed è lì che inizia il logoramento.
Il momento della scelta però è andato, e non tornerà...allora aspetti, e aspetti, e aspetti. Aspetti un segno, un segno che non arriva.

Io ho fatto così. Ho aspettato a lungo, felice e infelice, realizzata ma alla ricerca di qualcosa...sull'onda di questo sentimento, che ormai periodicamente mi prende da anni come avete potuto leggere, ho trovato il solito stratagemma: mi son ritrovata in mano il bando di concorso per una borsa di studio, indovinate dove? Bravi! Negli Stati Uniti d'America. Erano solo 3 borse. Potevano prendermi, come potevano non prendermi. Avevo il TOEFL, come richiesto, ma non ero certo l'unica. E comunque, potevo sempre decidere dopo, no? Tentare non costava nulla.

Due mesi dopo, è arrivata la risposta. "Siamo lieti di comunicarle che le è stata assegnata una borsa di studio della durata di un semestre negli Stati Uniti".
Non sapevo cosa fare. Non l'avevo nemmeno detto al mio ragazzo. A malapena lo sapevano i miei che avevo fatto richiesta.
Tuttora non so che scelta ho fatto. Tuttora non so se sto realizzando un mio sogno, che avevo solo nascosto in fondo al cassetto, o se sto semplicemente fuggendo dalla mia vita e dalle mie responsabilità. Mi dico che questa cosa mi servirà...che mi insegnerà tante cose...che mi chiarirà le idee sul mio futuro...che non sto perdendo tempo (notare che io sono al terzo anno, potrei laurearmi a settembre e iniziare la magistrale con tempismo perfetto), ma che lo sto investendo per fare una scelta più consapevole dopo...

E' vero? O mi sto prendendo in giro? Non lo so, davvero, stavolta non lo so. So di essere molto brava a prendere in giro me stessa e gli altri, così brava che a volte non riesco più a distinguere dove finiscono le mie verità e dove iniziano le mie bugie...non lo faccio apposta, ma per coprirmi, per non essere giudicata, per non dover affrontare le mie debolezze, inizio a creare delle giustificazioni per gli altri che poi diventano valide anche per me stessa. E mi perdo nei labirinti della mia mente.

Non so questa volta quale opzione sia. O se sarà un rimpianto positivo o negativo...
Anzi, si lo so. Questa volta non sarà un rimpianto. Al massimo potrà trasformarsi in un rimorso...ma questa volta non mi tirerò indietro prima di scoprirlo. Il resto lo affronterò in seguito.


mercoledì 8 maggio 2013

Qualche spiegazione tecnica...

Prima di iniziare a raccontare la mia esperienza e come sono giunta fino a qui, penso sia doveroso dare qualche spiegazione sul perché ho scelto questo nome per il mio blog.

Come ho già scritto, era tanto tempo che pensavo di aprirne uno...
Il mio primo contatto con il mondo dei blogger l'ho avuto circa un anno fa, perché il mio ragazzo aveva deciso di farlo. Il suo scopo principale era cercare di farne una fonte di guadagno, quindi voleva scrivere una sorta di guida; avevamo iniziato scrivendo della vacanza negli Stati Uniti che avevamo appena fatto, e mentre io scrivevo delle mie emozioni durante il viaggio e delle cose più belle che avevamo fatto, lui scriveva post molto "focalizzati", guide a come fare questo e quest'altro, in cui io non riuscivo a ritrovarmi. Così ho lasciato perdere!

Da allora però mi è rimasta la voglia...sicuramente un blog fatto a guida, stile "come fare a...", è più utile al pubblico e più remunerativo, ma non era quello che volevo fare io.
Quando poi ho scoperto di aver vinto questa borsa di studio per un college americano, ho deciso che avrei dovuto farlo, e che avrebbe dovuto essere come lo volevo io. E basta.
Per questo l'ho creato "separato" dal mio profilo, e ancora non ne ho parlato con nessuno. Perché il giudizio degli altri non potesse influenzarmi. Perché la consapevolezza che una determinata persona potesse leggerlo, non mi "censurasse". Perché fosse autentico.

Veniamo al nome: io non mi chiamo "la ragazza con la valigia". Io SONO la ragazza con la valigia.

Per la prima volta, sentii questo appellativo da mia madre. Quando avevo 15 anni e vivevo a Milano, la mia città natale, mi innamorai di un ragazzo di Firenze. Fu quello il periodo in cui cominciai a fare valigie, e da allora non ho mai smesso di essere divisa tra due città.
Stando con lui, quasi ogni weekend preparavo una grossa borsa e la portavo al liceo il venerdì mattina, poi all'uscita andavo direttamente in stazione a prendere il treno. Stavo meno di 24 ore a Firenze, e poi tornavo. Così per quasi un anno. 
Quando la storia con lui finì, invece di fermarmi raddoppiai i miei sforzi: Milano mi stava stretta, mi sembrava che tutto girasse intorno a me troppo in fretta perchè io potessi seguirlo, volevo scappare dai miei drammi e dalla mia solitudine.
Avevo molti amici in giro per l'Italia, e così iniziai a seguire le mie conoscenze per viaggiare: Brescia, Venezia, Roma, Napoli, Fano, Bologna...quanto più spesso potessi, cercavo di raggiungere qualcuno e passare un weekend fuori, a vivere la vita come la si viveva in un'altra città, con un altro ritmo.

Prima di una di queste partenze, mentre mi mettevo le scarpe seduta sulla mia valigia nell'ingresso di casa, mia madre mi diede un bacio e mi disse "ti chiamerò la ragazza con la valigia, non stai mai ferma!".
Mi piaque subito. Lì per lì pensai che fosse farina del sacco di mamma, che avesse semplicemente messo insieme tre parole per descrivermi, che non ci fosse nessuno che ci avesse pensato prima. Beata ignoranza...
Da allora non mi sono più posta il problema, e quel nome si è attaccato a me come con la colla. Viaggiavo il più possibile, in Italia e fuori, per vacanza e non, ma ciò che mi è sempre piaciuto di più non era andare in vacanza in un posto...era VIVERE un posto. Andare da qualche parte dove conoscessi le persone del luogo, facessi quello che facevano loro, vivessi la vita da cittadino comune.
Per darvi un'idea, sono stata circa 5 volte a Roma, ma solo alla 4° ho visitato il Colosseo e le altre attrazioni. Tutte le altre volte andavo semplicemente a casa di un mio amico, uscivo con lui e i suoi amici, andavamo in giro in moto e da dietro la visiera del casco mi scorrevano davanti tutte quelle opere meravigliose e quegli scorci incredibili di cui è fatta Roma. E mi andava bene così: niente turisti, niente attrazioni, solo la VITA.

Per tutto il liceo ho conservato una sorta di grande amore per il ragazzo di Firenze. Non riuscivo a scordarmi lui, e nemmeno quella bellissima città adagiata sul fiume, piccola ma grande, antica ma moderna, che si affacciava su colline verdi e che proteggeva tra le sue case una vita divertente ma raccolta, intima.

Per tutto il liceo ho desiderato andarmene. Anche prima in realtà, fin da quando ero piccola e andavo con i miei a Fano, luogo di nascita di mia madre e in cui vive mia nonna, e con gli amici andavo al mare, andavo in bicicletta, correvo sulla spiaggia e poi sulle colline circostanti, andavo a cavallo nella natura e non in un freddo e sterile maneggio. Da bambina sognavo di vivere lì, poi crescendo quel sogno era stato sostituito da altre possibilità: Firenze, Roma, Bologna...il mio mantra era "all'università me ne andrò di qui", e l'ho ripeuto per tutto il liceo, ogni volta che mi sentivo fuori posto, ogni volta che la grandezza di Milano mi faceva sentire sola, ogni volta che quella città grigia mi faceva sentire claustrofobica.

Quando ben è arrivato il momento di decidere, le mie prospettive erano cambiate. Ma non tanto da farmi restare a Milano! Mi ero innamorata di un ragazzo marchigiano, viveva vicino a Urbino e studiava lì, e quando lo andavo a trovare e mi portava a Urbino io restavo meravigliata davanti a quella minuscola città: racchiusa da mura e circondata dal verde, centinaia di studenti sorridenti in giro per le stradine, un posto "a misura d'uomo", come la descrivono anche le locandine dell'università.
E in un modo abbastanza naturale, dopo un anno di storia a distanza con quel ragazzo e il desiderio folle di andar via di casa e trovare una nuova vita, più adatta a me, mi ritrovai a traslocare in un appartamento condiviso con 5 ragazze e a iscrivermi all'Università di Urbino Carlo Bo.

Da allora sono passati 3 anni. Sto ancora con quel ragazzo: non è stata una storia facile, mai. Troppe volte stavamo per mollare, troppe volte ci siamo fatti del male, sotto ogni punto di vista, ma poi ogni volta non riuscivamo a separarci e tornavamo a provarci insieme.
Vivo ancora con una delle 5 coinquiline iniziali: con due ho litigato a morte e grazie a (o per colpa) loro ho imparato tante cose sulla convivenza tra persone. Con lei c'è un rapporto di amore e odio, in cui però finisce sempre per vincere l'amore. Le altre cambiano di anno in anno, portando ogni volta ventate di novità e divertimento.
Urbino è piccola, anzi minuscola. Se non avessi la macchina, e la scusa del mio ragazzo per andare spesso fuori, penso che avrei già sbroccato, lo ammetto :) ma il modo in cui si formano le relazioni qui, in cui esci per una commissione e ti ritrovi a fare un aperitivo con gli amici, in cui andare all'università significa semplicemente fare una passeggiata (in salita) in mezzo agli alberi, in cui andare a cavallo significa montare in sella e avventurarsi in mezzo al bosco e alla natura...bè, tutto questo non mi fa mai sentire troppo la mancanza delle mille possibilità offerte dalla sopravvalutata Milano.

Prima di decidere dove andare all'università, quando tutti i miei amici si iscrivevano a Milano e persino alcuni di quelli che andavo a trovare in altre città programmavano di trasferirsi lì, mi ritrovavo spesso a chiedermi "cosa sto facendo?!?".

E' giusto scappare dalla propria vita? Può davvero essere il posto in cui vivi a influenzare la tua felicità, o è la tua felicità che influenza il posto in cui vivi? Cambiare posto può essere la chiave per trovare una serenità che dove sei nato non riesci a conoscere??
Quanti dubbi, e allora non avevo nessuna risposta. Non conoscevo nessuno che avesse fatto una follia simile. Mi sentivo sola e incompresa. 
Forse qualcun altro si trova davanti ad una scelta simile; nel caso fossi proprio TU, e ti stessi facendo le mie stesse domande, ti darò la risposta che io avrei voluto sentirmi dire allora:

CHI SIAMO E COME SIAMO SONO CONCETTI SUPERIORI, CHE DIPENDONO DA NOI, NON DALLA NOSTRA CITTA' O DAI NOSTRI AMICI O DALLA NOSTRA SCUOLA. DIPENDE DA COME SIAMO NATI, DALL'ORDINE PRECISO E UNICO DI CELLULE CHE FORMA IL NOSTRO CERVELLO, DALLE ESPERIENZE CHE FIN DA PICCOLISSIMI ABBIAMO FATTO, PRIMA ANCORA DI RENDERCI CONTO CHE AVEVAMO DUE MANI E DUE PIEDI.
MA C'E' QUALCOS'ALTRO...FORSE NON E' PROPRIO LA CITTA' IN CUI VIVIAMO A INFLUENZARCI, MA IL MODO IN CUI NOI VIVIAMO LA CITTA' SI'. CAMBIARE ARIA FA SEMPRE BENE: TI DA NUOVI STIMOLI E FAI NUOVE ESPERIENZE CHE TI CAMBIANO E TI INSEGNANO MOLTO, NEL BENE E NEL MALE.
Io non sono una persona "felice" ora, nel senso che non ho trovato nessun senso di pace superiore, nè una calma interiore degna degli Epicurei, nè credo di aver trovato a Urbino la chiave per raggiungere la felicità. Ma vi posso assicurare che ho realizzato esattamente ciò di cui avevo bisogno: ho messo alla prova me stessa, ho cambiato stile di vita, sono diventata autonoma e indipendente, e sento dentro di me di essere una persona più forte, più matura, più consapevole di quella che tre anni fa è partita da Milano. E' QUESTO CIO' CHE CONTA QUANDO TE NE VAI: SE SENTI DI POTERTI REALIZZARE MEGLIO ALTROVE CHE DOVE TI TROVI, SE SENTI DI AVER BISOGNO DI ESPERIENZE CHE RESTANDO A CASA NON PUOI FARE, SE SENTI CHE TI MANCA LO STIMOLO PER ESSERE "DI PIU'"...ALLORS VAI, SPICCA IL VOLO. SEMPRE. NON SBAGLIERAI.


Veniamo all'ultimo concetto, che poi era quello iniziale (è uno dei miei difetti, mi dilungo facilmente...).
Quando l'idea di aprire il blog si è concretizzata, non ho avuto dubbi sul nome: "la ragazza con la valigia" l'aveva deciso molti anni prima mia madre al posto mio.
Ma quando poi Blogger mi chiese quale nome volessi dare al mio dominio, mi accorsi che quello era occupato. PANICO!
aperta una pagina di Google, mi è bastato digitare le prime lettere per scoprire che era un film!! Non ne avevo idea...tra l'altro io sono un po' ignorante sul cinema "storico", ma davvero non l'avevo mai sentito! E voi? E' tanto famoso?? 
Da lì il passo è breve: mi è bastato aggiungere la parola "blog" alla fine della query, è Google mi ha scaricato davanti una serie infinita di risultati.
Insomma, quanto a originalità non vado proprio forte :(
Ho passato una buona mezz'ora a chiedermi cosa fare...cambiare? aggiungere un qualche aggettivo? un numero? mettere un nome completamente diverso?
Mi ci sono scervellata, dico davvero. Ma poi ho capito: l'unico appellativo con cui volevo essere chiamata mentre scrivevo su questo blog, è quello.  Non importa a quante altre persone, o film, appartenga: è mio. E' anche mio. 

Quindi chiedo scusa a tutti, a tutte le ragazze che hanno un blog con lo stesso nome, a tutte le star del cinema che hanno recitato nel film e anche al regista. Siamo tutte ragazze con la valigia, tutte persone in cerca di un'identità, tutte coraggiose e avventurose...e meritiamo tutte di chiamarci come cavolo ci pare.
:)




martedì 7 maggio 2013

Eccomi qui

Dopo tanto tempo che ci penso e ci ripenso, eccolo: il mio blog...

Ora che esiste, mi si pongono davanti tante domande...so di cosa vorrei scrivere, ma non so come. Sono sempre stata abituata a scrivere, ma i miei pensieri rimanevano solo miei, in un diario virtuale,e nessuno senza il mio permesso avrebbe mai dovuto leggerlo...

Un blog è diverso: vorrei riuscire ad andare sul personale, come se fosse sempre un po' il "mio" diario, ma se ho deciso di pubblicarlo significa che ho anche voglia di condividere con gli altri le mie esperienze.

Sì, perché questa volta è diverso: non sono pene d'amore quelle di cui voglio parlare, nè i drammi di un'adolescente (forse anche di quelli, dai, non si sa mai; ma non sarà il centro del blog)...questa volta ho davvero qualcosa da dire, qualcosa di importante, di cui voglio lasciare una traccia nel mondo virtuale, e che forse può anche essere utile a chi volesse fare un'esperienza come la mia.

Di cosa parlo? Semplice: sto per partire. A breve dovrò preparare di nuovo la mia valigia. E sarà una valigia enorme, in cui dovrò far entrare 4 mesi della mia vita, e lasciare lo spazio per la vita che si sarà aggiunta al mio bagaglio, quando sarà il momento di tornare.
Non è facile, credetemi. Non è facile solo pensarci...non voglio immaginare quanto potrà essere difficile farla davvero.
Di questo voglio parlare: delle difficoltà, delle ansie, degli attacchi di panico pre partenza...e poi delle prime impressioni, dello shock culturale, delle mie emozioni più forti quando sarò lì, negli Stati Uniti d'America, per 4 mesi, da sola, in un college americano...e di tutta questa incredibile esperienza che sto per vivere, che mi cambierà profondamente, che cambierà ogni fibra del mio essere in modi che non posso lontanamente immaginare...

Forse nessuno lo leggerà...
forse qualcuno capiterà su questo blog e lo troverà inutile, superfluo, banale, e se ne andrà...
forse qualcun altro lo troverà interessante, o perchè mi trova simpatica, o perchè ha vissuto un'esperienza come la mia, o magari perché è matto...

Posso solo promettere che sarà un blog sincero.:)